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Nobil Donne 4.0 – Sabrina Nuti, Rettrice Sant’Anna di Pisa

Nobil Donne 4.0 – Sabrina Nuti, Rettrice Sant’Anna di Pisa

E’ una donna tutta d’un pezzo Sabina NutiRettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per il mandato 2019-2025, indossa il vessillo di portavoce di un centro d’eccellenza nella formazione a livello internazionale e crede nell’investire su una formazione di alto livello per portare sviluppo e crescita sul territorio. 

11 febbraio, Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza, per affrontare temi come uguaglianza di genere e piena parità nella ricerca scientifica e per riflettere sulle nuove tecnologie che avranno forte impatto sulla società del futuro.

Cosa ne pensa della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza?

È una giornata molto importante, da vivere tutti giorni. Per la scienza e per le donne ben venga un richiamo collettivo alla rilevanza di questo aspetto: è proprio tramite la scienza e la cultura che possiamo superare il gap di genere che è ancora presente in tanti campi della nostra società. Per me, che ho questo grande onore di condurre un’organizzazione come la Scuola Superiore Sant’Anna, ogni giorno è importante per interrogarsi su come e che cosa fare affinché le materie STEM siano attrattive per le ragazze e possano contribuire alla creazione di valore collettivo. È una tematica che contraddistingue quotidianamente la mia vita professionale, e quindi sono contenta che ci sia anche un momento istituzionale con i media e altre fasce della popolazione che non si occupano direttamente di scienza.

Che ruolo hanno le donne nei progetti di ricerca scientifici?

Sicuramente rispetto all’inizio della mia carriera vedo molte più donne. Ci sono ancora delle problematiche e, nonostante di recente alcuni risultati siano stati effettivamente raggiunti, c’è ancora un lungo cammino da percorrere. Nella mia vita personale sono stata fortunata. Sono nata in una famiglia numerosa e mia madre era una genetista vegetale ricercatrice al CNR.

Una donna che ha raggiunto anche ruoli apicali dimostrando in modo concreto che si poteva combinare famiglia e lavoro, con ottimi risultati a livello scientifico, senza dover per forza scegliere tra famiglia e scienza, superando il sottile senso di colpa che rischia sempre di essere presente, sia che tu faccia una scelta oppure l’altra. Il suo esempio mi ha aiutata a superare questa ‘trappola bestiale’ e ad avere la confidenza che è possibile trovare un equilibrio, magari con tempi diversi, con accelerate e fermate differenti.

Ancora oggi le giovani ricercatrici cadono in questa trappola. Per questo, prima di diventare Rettrice ho svolto una grande battaglia, come responsabile di un laboratorio di ricerca, per garantire alle ricercatrici in posizione precaria di avere la garanzia della maternità, che fino a qualche anno fa non era prevista. Tutt’ora non siamo a regime: alcune posizioni sono prese in carico dall’INPS, altre dall’Ateneo. C’è ancora confusione, ma almeno abbiamo una copertura.

Un’altra iniziativa in questa direzione prevede un contributo alla ricerca nel primo anno di vita del bambino per garantire la possibilità di rientrare al lavoro già al termine del congedo parentale, contando su un supporto per servizi quali babysitter e asilo nido. Il nostro obiettivo è che ci sia un pieno sviluppo per le donne impegnate nella ricerca universitaria, sostenendo la maternità e anche facilitando il ritorno in laboratorio dopo la gravidanza. Si registra purtroppo, un tasso di abbandono ancora molto alto e le giovani ricercatrici hanno difficoltà nel trovare sostegno e servizi.

Lei guida una delle migliori università italiane secondo i ranking internazionali: che progetti avete in cantiere per accrescere il vostro appeal? Su cosa puntate?

La Scuola ha ottime performance e, pur essendo un’istituzione di piccole dimensioni, trova la sua forza nell’essere prima di tutto una ‘Research University’, che funziona come una palestra di apprendimento sui temi ‘on the edge’. Pur con una suddivisone in due classi, le scienze sperimentali e le scienze sociali, la ricerca è svolta con una forte capacità di interdisciplinarità.

A tal fine sono in via di costituzione 3 centri di ricerca trasversali che rafforzano ancora di più questa propensione. Uno di questi centri è focalizzato sul tema salute, ambito complesso che richiede competenze mediche, cliniche, organizzative, tecnologiche, giuridiche, e della biorobotica. Il fatto di saper lavorare con diversi approcci è un elemento di forza decisivo nella nostra performance.

Che cosa direbbe a una ragazza che si avvicina allo studio di materie STEM?

Sicuramente di superare la paura dei numeri, un elemento molto presente che parte fin dalle scuole. Vi è un preconcetto molto diffuso secondo cui le donne non sono portate per i numeri. Io ho fatto il liceo classico, odiavo la matematica, avevo una repulsione per tutto ciò che riguardava i numeri ma, dopo un percorso universitario di 15 anni in Bocconi in cui ho dovuto imparare a lavorare con i numeri, ho subìto uno shock violento ma molto salutare.

Oggi svolgo gran parte della mia attività con il supporto del dato quantitativo: i numeri hanno un senso, un’anima e sono anche molto affini alle caratteristiche delle donne, che si distinguono per pragmatismoorientamento al risultato e che, secondo me, sono meno individualiste. Se queste caratteristiche sono integrate con la capacità di usare metodi e modelli tipici delle materie STEM assumono una potenzialità paurosa. Perché questo avvenga, è necessario adottare approcci di insegnamento diversi affinché non vi siano ostacoli alla scelta della carriera.

Com’è cambiato il mondo delle università e il modo di studiare?

La crescita del sistema scolastico non è stata omogenea, molto dipende dalle professionalità che gli studenti possono aver incontrato: ci sono insegnanti capaci, altri invece che hanno innovato poco e hanno scarse capacità didattiche.

Il progresso è stato molto significativo laddove ci sono insegnanti validi, insegnanti che hanno veramente capito cosa significa capovolgere il paradigma, ossia attivare il processo di apprendimento degli studenti e, sulla base di questo, costruire un percorso formativo capace di dare risposte, sviluppando un coinvolgimento attivo dell’allievo e non passivo. Il segreto è creare quell’entusiasmo e voglia di imparare che tutti i giovani dovrebbero avere.

Ho conosciuto alcuni docenti capaci di impostare questo tipo di didattica, altri che invece continuano ad andare in aula con una logica frontale, preoccupati di “fare lezione” e non dell’apprendimento degli allievi. Rispetto agli studenti delle università straniere, c’è ancora una forte concentrazione sull’acquisizione dei saperi e meno sull’acquisizione di altre tipologie di competenze che, se abbinate ai saperi, possono valorizzare molto meglio le competenze professionali.

Per esempio, i nostri studenti tendono a non fare domande, a essere moto passivi, a selezionare quello che vogliono apprendere. Rovesciare il paradigma significa costruire il know how stimolando continuamente lo studente, aprendo un confronto con il docente. Molte lezioni dovrebbero basarsi sulle letture a casa e poi le discussioni in classe, invece spesso sono un sunto del libro di testo.

[Foto: ©www.santannapisa.it]

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Link all’articolo originale su Tuscanypeople.com

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11 febbraio – Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza

L’ 11 febbraio è la “Giornata Internazionale delle Donne e delle ragazze nella Scienza” patrocinata dallo ONU: una ricorrenza significativa che vuole essere un momento di riflessione e al contempo uno stimolo alla comunità internazionale nel perseguire obiettivi di parità di genere in termini di opportunità educative, di preparazione e di carriere scientifiche per le donne e le ragazze rimuovendo gli ostacoli che si frappongono. L’ONU, infatti, ritiene che la scienza e l’uguaglianza di genere siano fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo a livello internazionale, compresa l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

È doveroso far notare che la giornata non è dedicata solo alle donne nella scienza, ma anche alle ragazze, dato che parlare di donne e ragazze non è pleonastico. Ovvero, esiste da un lato un problema di accesso a una carriera scientifica per le donne e, dall’altro lato un enorme problema di accesso all’istruzione per le bambine, soprattutto all’istruzione scientifica. Quello dei pregiudizi di genere non è solo un problema dei paesi in via di sviluppo ma, in modo subdolo, è presente nelle società anche più “economicamente” avanzate.

Recentemente noi della Community Donne 4.0 abbiamo pubblicato un Manifesto sull’Empowerment delle Donne nel settore STEM in cui abbiamo trattato il tema dei pregiudizi di genere nel contesto del sistema educativo e delle conseguenze che questi hanno sull’istruzione e sullo sviluppo psicologico delle ragazze.

Numerosi sono i rapporti a livello nazionale ed internazionale, in cui si evince come le ragazze siano brave e sorpassino i loro compagni maschi – non solo alle medie o al liceo ma anche all’università – nell’ambito di facoltà scientifiche, feudi incontrastati del dominio maschile. Tuttavia, non è sufficiente, dato che in fase di dottorato si registrano i primi rilevanti “cedimenti”: i numeri si riducono sempre più. In Italia solo il 36% delle donne, di fatto, sceglie la ricerca e con poche prospettive di carriera.

La scalata della piramide della scienza al femminile, già caratterizzata da una base “risicata”, si assottiglia ulteriormente. Poche sono le donne che arrivano al vertice degli istituti di ricerca e poche sono le accademiche titolate. La carriera, spesso, le mette in contrasto con il loro desiderio di maternità; inoltre, se la competizione è eccessiva, le costringe ad abbandonare. Di fatto il settore della ricerca è dominato dall’universo maschile e gli orari e i modi di lavorare non sono quelli che hanno desiderato e voluto; inoltre, alle donne sono assegnati meno fondi e, ancora oggi, fare figli è considerato non un fatto di genitorialità, bensì di maternità (anche se le nuove generazioni stanno cambiando approccio a queste tematiche).

Serve, pertanto, un lavoro di educazione e sensibilizzazione sin dall’infanzia per abbattere la diffidenza e i tanti stereotipi che si manifestano a scuola, in famiglia, ovunque, e che vanno a “minare” la fiducia in sé stesse delle bambine e delle ragazze verso le così dette materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Nella pagina dell’ONU dedicata alla giornata del 11 febbraio (https://www.un.org/en/observances/women-and-girls-in-science-day) si legge: “Negli ultimi 15 anni, la comunità internazionale ha fatto molti sforzi per ispirare e coinvolgere le donne e le ragazze nella scienza. Tuttavia, le donne e le ragazze continuano a essere escluse dalla piena partecipazione alla scienza. Attualmente, meno del 30% dei ricercatori in tutto il mondo sono donne. Secondo i dati dell’UNESCO (2014-2016), solo il 30% circa di tutte le studentesse sceglie campi legati alle scienze, alla tecnologia, all’ingegneria e alla matematica nell’istruzione superiore. A livello globale, l’iscrizione delle studentesse è particolarmente bassa nelle tecnologie informatiche (3%), nelle scienze naturali, nella matematica e nella statistica (5%) e nell’ingegneria (8%)”.

È necessario agire anche a livello Paese per aumentare la presenza femminile nelle Istituzioni ed Enti di ricerca. Nel consultare il sito del “Ministero dell’Istruzione, Ministero dell’Università e Ricerca” ad oggi risulta che su 12 enti di ricerca riportati, soltanto tre di questi hanno un presidente donna (25%). Inoltre, la situazione emerge in tutta la sua gravità anche in ambito universitario. Se analizziamo il numero delle donne a capo di una università italiana, su 84 università italiane, soltanto 6 hanno un rettore donna (circa il 7%). Di fatto, questi dati vanno ad evidenziare che per le donne esiste un problema reale di disparità, di opportunità e di accesso, almeno agli apici delle istituzioni scientifiche e culturali. Pertanto, nonostante l’Italia sia un paese in cui formalmente la costituzione garantisce a tutti parità di trattamento e di diritti – “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” – la realtà ci evidenzia quanto tutto questo sia lontano dall’essere pienamente realizzato.

La giornata dell’11 febbraio, deve essere per tutti noi un’occasione importante per riflettere sia sul ruolo fondamentale che le donne svolgono nello sviluppo della conoscenza sia per prendere coscienza dei vari “colli di bottiglia” che le donne e le ragazze ancora oggi incontrano se vogliono intraprendere e perseguire una carriera scientifica.

La Community Donne 4.0 si fa ulteriormente portavoce delle donne e delle ragazze nelle scienze. Essa nasce per supportare le donne ad essere protagoniste nella costruzione di questo futuro tecnologico-scientifico, che deve essere inclusivo e sostenibile. Si vuole valorizzare il contributo delle donne impegnate ad affrontare le nuove sfide globali; pertanto, diventa fondamentale il rispetto e la salvaguardia della diversità, dato che tali aspetti svolgono un ruolo importante. È fondamentale che le donne possano accedere a un più ampio spettro di prospettive in tutto il settore tecnologico-scientifico e promuovere una maggiore diversità per garantire la creazione di soluzioni scientifiche e tecnologie create da una pluralità di persone ricche delle più varie esperienze di vita e in questo modo garantire la totale rappresentanza della cosiddetta “galleria umana”.

Noi Community Donne 4.0 intendiamo supportare il genere femminile incoraggiandolo ad investire sempre più nelle competenze STEM in modo tale da lavorare congiuntamente a creare le basi per il raggiungimento della parità di genere, riuscendo così a portare questa cultura dal mondo accademico a quello del lavoro.

Federica Maria Rita Livelli

Coordinatrice Commissione Reti – Community Donne 4.0

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